sabato 20 luglio 2019

Rocco Petrone: salvò lo sbarco sulla Luna con un bullone

La storia dello sbarco sulla Luna la conoscono tutti. E' una storia che parla americano, inevitabilmente. Neil Armstrong, Buzz Aldrin, Michael Collins, la Nasa, l'Apollo 11: questi nomi li conoscono tutti, perché sono nomi balzati oltre la storia, nella leggenda. Ma questa leggenda annovera anche un nome meno altisonante, un nome italiano, lucano per la precisione: Rocco Petrone. Fu lui a lanciare il countdown e a pronunciare il "go" che cambiò la storia dell'umanità. 

Un ingegnere di un metro e 90, figlio di emigranti della Basilicata e giocatore di football, che in piena guerra riuscì ad essere ammesso nell'Accademia militare americana di West Point nonostante un cognome "nemico" e gli atavici pregiudizi sui nostri connazionali. 

L'hanno soprannominato "il computer con l'anima", ma anche "la tigre di Cape Canaveral". Di lui ha scritto il giornalista Renato Cantore nel libro Dalla Terra alla Luna, perché per troppi anni se n'era parlato troppo poco.

Alle 5 del mattino - l'Apollo era partito alle 21:32 - alcuni responsabili del progetto andarono a chiamare Petrone, che si era un attimo allontanato dalla sala. Quella notte non dormì nessuno, sia chiaro. I monitor aveva segnalato un piccolo sbuffo, una nuvoletta di fumo che usciva da quell'enorme bestione del Saturn V. Erano tutti spaventosissimi. Petrone arrivò lì e capì subito che si trattava di una perdita di idrogeno liquido. In quelle condizioni gli astronauti non potevano salire a bordo. Rocco però fu l'unico a ricordarsi di un particolare e mandò la sua squadra a controllare un punto preciso, una delle migliaia di valvole che costituivano il veicolo spaziale. Uno dei sei bulloni che stringevano la valvola era leggermente meno lungo degli altri. Un tecnico si era distratto, Petrone no. Grazie a questa intuizione furono rispettati i tempi della missione, evitando così una figuraccia epocale agli Stati Uniti. 

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